A tu per tu con Giovanna Motta: Modalità e responsabilità nella gestione delle crisi umanitarie |
di Gabriele Vargiu |
Un imponente movimento popolare mosso da rivendicazioni democratiche, economiche e politiche sta travolgendo dall’inizio del 2011 la quasi totalità dei paesi del mondo arabo. La rivoluzione del gelsomino in Tunisia, il collasso del regime di Hosni Mubarak in Egitto e, seppur con i dovuti distinguo, la guerra civile in Libia ne sono i risultati più evidenti. Conseguenza diretta dell’instabilità istituzionale generata da questi accadimenti è stata l’improvviso aumento dei flussi migratori tra le due sponde del Mediterraneo, un fenomeno che ha coinvolto direttamente l’Italia, con particolare evidenza sulle coste della Sicilia. A proposito dei problemi, delle modalità e delle responsabilità comunitarie nella gestione di questa crisi umanitaria, nonché della più ampia realtà dell’immigrazione e dell’impianto normativo del nostro Paese in materia, il centro studi Geopolitica.info ha discusso con Giovanna Motta, professore ordinario di Storia Economica e Sociale presso “Sapienza” Università di Roma ed esperta di storia del Mediterraneo e delle problematiche legate ai fenomeni migratori. Al cospetto delle pressioni avvertite sui nostri confini come si sente di descrivere la reazione dello Stato italiano? Senza dubbio la cosiddetta macchina dei soccorsi è stata attivata in ritardo. Gli sbarchi sull’isola di Lampedusa costituiscono un fenomeno che poteva essere ampiamente previsto e, di conseguenza, gestito con maggiore tempestività. Il progressivo infiammarsi delle proteste nel sud del mediterraneo avrebbe dovuto suggerire alle autorità italiane che nel caso, di fatto verificatosi, in cui i regimi politici locali fossero collassati si sarebbe potuto registrare un improvviso aumento dei flussi migratori. A suo giudizio la questione dell'immigrazione, soprattutto quando assume tratti emergenziali come quella attuale, deve restare di stretta competenza degli Stati che ne subiscono direttamente le conseguenze o dovrebbe essere oggetto di un coordinamento nell'ambito dell'Unione Europea? Certamente si rende sempre più necessario un coordinamento comunitario nella gestione di simili emergenze. Quantomeno nelle prime fasi della crisi l’Italia è stata indubbiamente lasciata sola da Bruxelles. Il problema, a mio avviso, va ricercato nella reticenza di molti membri dell’Unione ad elaborare una normativa univoca e condivisa in tema di migrazione, cui dovrebbe far seguito la definizione di un piano d’intervento congiunto per fronteggiare eventi eccezionali come quello cui stiamo assistendo in questi giorni. Sotto un profilo più generale ritiene che gli stravolgimenti istituzionali della primavera araba possano alterare sensibilmente le dinamiche dei flussi migratori tra il continente africano e quello europeo, oppure si tratta di fenomeni connessi a variabili diverse quali, ad esempio, i cambiamenti climatici? Gli eventi che si sono recentemente susseguiti nei Paesi della sponda sud del Mediterraneo possono aver accentuato quantitativamente i flussi, ma, nel complesso, si tratta di un fenomeno ben più radicato nella storia che, a mio avviso, è destinato a conoscere una graduale ed inevitabile progressione. Sebbene da più parti, anche al di fuori dei nostri confini, giungano segnali di rigetto del modello di società multiculturale, non credo che si possa ipotizzare nel lungo termine un avvenire diverso: gli italiani, gli europei e, soprattutto, le rispettive classi politiche dovrebbero accettare questa prospettiva come un dato di fatto. A questo riguardo, quali dovrebbero essere i compiti principali della politica e delle istituzioni statali? La politica deve rivolgere la sua attenzione, anzitutto, sulla preparazione delle società di accoglienza al contatto con il diverso, smussando gli “angoli più duri” e prevenendo la formazione di quel sentimento di rigetto che, inevitabilmente, si presenta di fronte a situazioni di disagio mal gestite. Lampedusa ne costituisce un esempio lampante. In una prospettiva più generale, ad ogni modo, il rischio che si sviluppi nella società una percezione distorta della figura dell’immigrato, quale invasore o, peggio ancora, untore e portatore di malattie, è più forte in alcune categorie che in altre. Mi riferisco, soprattutto, agli anziani o a quelle fasce di popolazione economicamente più fragili che vedono nello straniero un possibile usurpatore dei posti di lavoro e della ricchezza del Paese. In realtà sappiamo che molto spesso gli immigrati finiscono per svolgere impieghi e mansioni che gli italiani si rifiutano di accettare e che il loro contributo alla crescita dell’economia nazionale non è indifferente. Per quanto attiene invece all’aspetto normativo e alla necessità di regolamentare la gestione del flusso migratorio, partendo dalla Legge Martelli fino ad arrivare alle leggi Turco-Napolitano e Bossi-Fini, come si è evoluto l’approccio dei diversi governi italiani nei confronti di questo problema? Gli interventi del legislatore nazionale in tema di immigrazione sono stati caratterizzati da logiche di fondo antitetiche, che hanno rispecchiato le diverse interpretazioni offerte dalle forze politiche a tale fenomeno. Non a caso nessuno di questi provvedimenti, fatta eccezione dell’iniziale legge Martelli, è stato approvato con un consenso bipartisan del Parlamento. La legge Turco-Napolitano trovava la sua ratio nella volontà di regolamentare una realtà, quella dei flussi migratori, reputata ineluttabile. Ne conseguiva che l’unica strada percorribile fosse quella della piena integrazione socio-culturale, attraverso la concessione del diritto di cittadinanza ai migranti che avessero risposto ad una serie di prerequisiti stabiliti nel testo normativo. La successiva legge Bossi-Fini, al contrario, ha interpretato il fenomeno dell’immigrazione come congiunturale e non strutturale: lo strumento per affrontarla è diventato così il permesso di soggiorno, caratterizzato dalla provvisorietà. CLICCA PER VISUALIZZARE LA PAGINA UFFICIALE |